La massima di Epicuro e il Consiglio regionale
Intervista con Severino Saccardi a cura di Tommaso Ferraresi da "Testimonianze" n. 442
Politica istituzionale e valori, principi ed atti concreti. Severino Saccardi illustra la sua personale visione della rappresentanza e il rapporto che essa ha con i valori di cui egli è portatore e con la sua esperienza nel mondo dell’insegnamento.
D: Vorrei focalizzare alcuni aspetti principali relativamente alla tua decisione di intraprendere l’esperienza nel Consiglio Regionale. Innanzi tutto il perché del fare politica nelle istituzioni e la conseguente eliminazione della riserva mentale che ogni uomo si porta dentro, ben espressa dalla massima epicurea del «vivi nascosto», che spinge a stare alla larga dalla dimensione pubblica, e anche il distacco da una certa mentalità, molto in voga soprattutto in Italia, che vede la vera politica nell’azione che si fa al di fuori delle istituzioni: una politica più movimentista, una politica che lavora soprattutto nella società civile e quindi, per intendersi, il cosiddetto dilemma dello sporcarsi o meno le mani, che tiene spesso molte personalità indipendenti al di fuori della politica della rappresentanza istituzionale. Ecco, come sciogliere questi dubbi e, dunque, perché fare politica attiva in un Consiglio Regionale?
R: La domanda è centrale, pone una questione fondamentale oggi relativamente all’impegno pubblico. Mi pare anche suggestivo il riferimento al «vivi nascosto» degli antichi greci e di Epicuro. Ma di questa massima si potrebbe dare anche, e non è una scappatoia facile, una interpretazione interiore: credo che vada, per usare un rimando immaginifico, conservato uno spazio all’interiorità dell’anima che non si contamini con l’effimero dell’esposizione alla dimensione pubblica, mentre mi pare che il «vivi nascosto» in senso letterale sia già, di per sé, escluso dall’attività di movimento, e non solo di movimento, che hanno portato avanti una associazione e una rivista come «Testimonianze». Vivere nascosto non era, evidentemente, nemmeno la scelta di una personalità eminente come quella di Balducci, che viveva continuamente nella dimensione pubblica pur avendo scritto un bellissimo «Elogio penitenziale del silenzio», uno dei suoi scritti più belli. Non veniva da lui disdegnata nemmeno la relazione con la dimensione istituzionale: basti pensare, ripercorrendo qualche tappa della vicenda dello stesso Balducci e di quella di «Testimonianze», all’ormai lontanissimo ‘76, alla Badia fiesolana, il giorno in cui sono stati a farsi dare, per così dire, la benedizione, una sorta di incoraggiamento, da Balducci, proprio quei futuri parlamentari della Sinistra Indipendente, di area cattolica e non cattolica, che sceglievano l’avvicinamento a quella che era la massima componente partitica della sinistra, l’allora Partito Comunista, in una operazione che istituzionalmente ebbe un grande rilievo. Ora noi viviamo in tempi in cui, anche motivatamente, la politica ufficiale incontra molta diffidenza. C’è un distacco tra le istituzioni e la società, comprese le stesse realtà che si occupano, in senso lato, di politica: le associazioni, le ONG, i circoli politico-culturali. Ma proprio per questo è necessario, per quel poco che si può fare, gettare ponti. Io credo che nel momento in cui si aprono degli spazi, è importante che essi vengano coperti: una candidatura come quella che è stata offerta a chi parla, al di là del riferimento strettamente personale, era una cosa che non si poteva dare per scontata. Tutt’altro, poteva sembrare piuttosto improbabile; si è verificata, e quindi io sono, con il sostegno degli amici, con l’esperienza da cui vengo, con il raccordo con quei settori della società civile che rimangono per me un riferimento vitale, a tentare una scommessa.
È vero probabilmente quel che dice un esponente di punta della cultura e della politica italiana, Massimo Cacciari, che è bello discutere idealmente di politica mentre la politica amministrativa, della istituzioni rappresentative (comunali, regionali, parlamentari) è spesso opaca, demotivante, connotata da compromessi spesso di basso livello. Lo stesso Cacciari però, più volte si è sporcato le mani, per così dire, nella dimensione istituzionale. Una evidente, ma forse vitale, contraddizione. Allora, c’è un tentativo da fare in una certa direzione. I risultati andranno verificati sul campo. L’essenziale è che questo collegamento con la società civile da cui si parte, e che sta alle spalle anche della mia esperienza, venga mantenuto, e anzi trovi un raccordo con la dimensione istituzionale, dove si prendono decisioni, e si fanno anche dibattiti che riguardano tutti, anche coloro che alle istituzioni preferiscono rimanere estranei o che ne guardano le logiche con diffidenza.
D: Hai citato «Testimonianze», hai citato il portare la tua esperienza precedente e attuale all’interno della politica rappresentativa: mi chiedo concretamente come si faccia. Mi spiego: se io fossi un dirigente di partito e dovessi collocare un indipendente, tenderei forse a sistemarlo al posto il più alto e prestigioso possibile, di modo che la sua attività risulti poi tesa interamente alla discussione di temi tanto alti quanto (ahimé) lontani dai problemi concreti delle persone. Insomma un’attività di redazione di mozioni belle, elevate, ma probabilmente incapaci di potersi distaccare dalla loro natura di dichiarazioni di principio. L’ambito regionale d’altro canto, si può individuare come a metà strada tra lo stare vicino alle persone e ai loro problemi concreti, e l’essere invece teso alla trattazioni di questioni generali, da considerarsi come cornici ideali di livelli di governo più prossimi alle istanze dei cittadini. In quali campi i valori ed i principi della tua vicenda precedente, della tua vita a «Testimonianze», si possono esprimere concretamente?R: Ovviamente esiste il rischio che tu segnali. Esiste il rischio che chi viene da un impegno di carattere politico-culturale si spenda soprattutto in dichiarazioni di tono elevato, nella presentazione di mozioni che riguardano la situazione internazionale, la pace, i diritti umani, che poco incidono, apparentemente credo, sulla sostanza della vita dei cittadini, e sulle decisioni che poi concretamente devono essere prese.
C’è una difficoltà a rispondere in maniera esauriente alla tua domanda anche perché, di questo come di tutti gli altri ambiti complessi con cui si può venire a contatto nella vita, bisogna avere l’umiltà di imparare a coglierne i meccanismi: io sto appena cominciando la mia strada di novizio qui dentro e ne vedo tutta la problematicità, incluso il rischio di non riuscire a trovare sempre la collocazione più adeguata a quelle che sono le aspettative e le istanze di cui vorrei essere portatore.
Però certamente ci sono degli ambiti importanti che hanno un rapporto anche con scelte operative concrete e sostanziali e che possono incidere molto politicamente. La Toscana, ad esempio, ha un nuovo «Assessorato alla Cooperazione, alla Pace e al Perdono». Ecco, una relazione con attività di questo tipo, la valorizzazione di scelte importanti che la Toscana ha sempre fatto in questo campo, come la scelta in direzione della cooperazione decentrata con varie regioni del mondo, una politica di apertura verso i cittadini di provenienza esterna alla nostra regione e al nostro Stato, la scelta di operare perché una quota consistente del PIL, non solo dello Stato, ma anche della nostra regione (l’obiettivo fissato è per lo 0,7% del PIL della Regione Toscana) sia destinata alla cooperazione, il lavoro che è cominciato all’interno del gruppo consiliare di cui faccio parte perché diventi operativo dal 2010 il diritto di voto agli immigrati, ecco, tutte queste sono scelte che sicuramente avranno una rilevanza, avranno un ritorno, faranno discutere.
Spostandosi su un altro settore: la politica culturale. Ho partecipato, di recente, ad una audizione della «Quinta Commissione» del nostro Consiglio regionale, che si occupa di cultura. L’assessore al turismo ha illustrato le importanti relazioni che questo campo ha, non solo con l’economia e con il commercio, ma anche con la questione dell’identità e della valorizzazione della cultura e della qualità della vita all’interno del nostro territorio. Lì ci sono questioni importanti da mettere a fuoco in relazione all’identità ed alla vita collettiva dei nostri territori e delle nostre città.
E poi direi, ultimo punto di carattere generale tra i tanti che se ne possono citare, è possibile che si operi perchè scelte importanti vengano fatte in un momento di grande difficoltà come quello che stiamo vivendo: noi siamo in un passaggio in cui non c’è la facilità di vita che c’era fino a qualche anno fa. C’è una situazione di difficoltà di carattere congiunturale ma anche strutturale, nel campo economico come in quello sociale. C’è una tendenziale recessione che coinvolge la nostra stessa regione che era indicata come un modello economico, sia pure particolare e basato sulla piccola e piccolissima impresa, un’impostazione che nella dimensione del mondo globale non regge più. E ci sono settori della società che sono più esposti. I collegamenti che si possono trovare tra questo problema e drammi che la società sta vivendo, ad esempio nel mondo del lavoro (la questione della sicurezza, delle condizioni di lavoro) sono evidenti. La nuova questione sociale si intreccia, del resto, evidentemente con la questione interculturale: molti di questi lavoratori più esposti sono anche immigrati. Su questo c’è un grosso intervento da fare e la relazione di tutto ciò con i valori di un’esperienza come quella di «Testimonianze» sono immediati ed evidenti.
Proseguendo, si potrebbe citare la questione della marginalità sociale e delle carceri. Sto proseguendo, con un collega del Consiglio, il giro delle carceri toscane, per sollecitare l’applicazione delle norme carcerarie che vogliono che puntualmente si realizzino le condizioni affinchè la pena abbia effettivamente finalità riabilitative, cosa che le condizioni attuali degli istituti di reclusione e di detenzione non consentono.
Ecco, tutto questo è, nella difficoltà dei passaggi, un insieme di questioni che, in un ambito come quello istituzionale, ha un legame molto evidente con l’idealità espressa da una rivista come «Testimonianze» nell’ambito della difesa dei diritti dei più indifesi e degli ultimi della società.
D: Adesso vorrei approfondire un terzo punto: a Giugno abbiamo visto naufragare il referendum sulla «procreazione medicalmente assistita», con relativi commenti esaltanti da parte delle gerarchie ecclesiastiche circa la “fede matura” dimostrata dai cattolici italiani. Partendo dal presupposto che la si può anche non pensare così e che gli italiani hanno molto da crescere nell’ambito delle “virtù civiche e considerata la tua vita, finora dedicata con passione e dedizione all’insegnamento e partendo dal presupposto che il ruolo del politico, lungi dall’esser semplice specchio della società che rappresenta, come purtroppo spesso accade oggi, dovrebbe essere anche sua elevazione negli spazi di una cittadinanza globale, considerato tutto questo, non credi che ci sia il bisogno di essere un po’ pedagoghi anche nell’attività politica, di educare un po’ alla cultura della cittadinanza gli abitanti del Belpaese?R: Questa domanda mi consente di fare un’altra confessione: quella relativa alla lenta, e per quel che mi riguarda, estremamente complessa, elaborazione del distacco dall’insegnamento. Gli aspetti affettivi che ci sono, e sono importanti, mi fanno vivere questo passaggio nella sua positività ma anche nella sua spigolosità e durezza. Mi manca, per dirla in chiaro, l’elemento umano e motivazionale che il contatto con i giovani fornisce in abbondanza in dinamiche relazionali, a volte problematiche e faticose, ma spessissimo feconde ed appaganti.
C’è senz’altro una possibile connessione tra un’esperienza educativa sul campo, e parlo dell’insegnamento, ambito vitale per la formazione umana e culturale di una consapevolezza e di una identità collettiva e condivisa che sia matura e all’altezza dei tempi, e quella politica. E su questo, nell’ambito delle confessioni personali, posso dire che una dei regali più belli che ho ricevuto nel distacco dalla scuola da colleghi, amici, studenti, sono le parole di uno studente quando mi ha detto: «Faccia il politico come ha fatto l’insegnante».
Questo sottolinea, in maniera non retorica né ingenua, quello che sarebbe uno dei compiti della politica, anche istituzionale: l’educazione alla partecipazione, la crescita democratica, la maturazione in consapevolezza civile. Ed è proprio su questo che oggi essa registra la sua crisi più profonda.
Qui mi pare che si torni al discorso da cui siamo partiti sulla necessità di lanciare ponti tra il lavoro delle istituzioni e ciò che esiste nella società: attraverso il potenziamento di tutti i progetti di carattere educativo e la crescita della consapevolezza relativamente al contesto in cui si vive. Capita sempre più spesso di inquadrare le difficoltà di vita per la popolazione in genere, ma anche e soprattutto per le nuove generazioni. Vi è qui una questione non solo di ordine economico e materiale, ma anche culturale: bisogna comprendere a fondo l’importanza dell’identità di un contesto come quello della Toscana, che è indubbiamente ricco di storia e cultura, che ha sicuramente, per così dire, una sovrabbondanza di anima, la quale rischia però di deperire, di involgarirsi, se non coltivata. Su questo anche in ambito locale c’è un enorme lavoro da fare. C’è, in generale, una responsabilità delle istituzioni nell’avvicinare i cittadini: ci sarà prossimamente un consiglio regionale speciale sulla situazione economica della Toscana e una serie di iniziative in direzione del «Piano Regionale di Sviluppo»(Prs). Emerge con forza l’importanza che, per iniziative partecipate di carattere simbolico-politico, vengano coinvolti i settori significativi della popolazione e della società civile come i vari soggetti economici e sociali, i lavoratori in difficoltà, i giovani in cerca di occupazione, gli immigrati, perché il palazzo sia sempre meno quella dimensione estranea che, come scriveva Pasolini, incombe sulla società rimandando un’immagine di minacciosa estraneità.
Perché questo non si realizzi una responsabilità primaria incombe sulle forze politiche. Il lavoro da fare è molto ed abbisogna di creatività e di fantasia.
D: Veniamo ora alla questione dei ruoli che ti trovi a ricoprire, e delle relazioni che si istaureranno tra di loro. Ricapitolando, da un parte ci sei tu con l’attività di consigliere regionale, dall’altra «Testimonianze» che continua la sua vita per l’appunto proprio sotto la tua direzione. Ecco, come si sposano questi due mondi? Come salvaguardare l’autonomia e l’indipendenza sostanziali della rivista in questo passaggio delicato e complesso?
R: Anche questa è una questione nodale perché «Testimonianze», pur avendo una sua netta connotazione di carattere culturale e politico, è sempre stata una realtà di ispirazione pluralistica, mai aggregata ad un’area o, tanto meno, ad una forza politica in senso stretto. Quindi la salvaguardia della sua autonomia rimane questione fondamentale.
La garanzia più grande è data direi dalla sua stessa realtà. «Testimonianze» è una piccola cosa tutto sommato, ma è anche una realtà molto vitale che ha un suo percorso interno, una sua articolazione, una sua autonomia di giudizio, una presenza interna di persone con propensione all’autonomia molto spiccata, con un’indipendenza di giudizio dimostrata negli anni. Questa è senz’altro la garanzia di indipendenza più evidente.
Credo che il resto possa essere trovato nello stesso profilo che chi parla ha voluto dare alla rivista negli anni della sua direzione, la quale è stata certamente tesa a conferire ad essa una spiccata identità, ma anche a configurarla ancor più come indipendente e autonoma. Non servirebbe, tra l’altro, nemmeno alla forza politica che mi ha candidato e fatto eleggere se questo dato cambiasse. A questo vorrei aggiungere che è tempo, quando le condizioni saranno mature,che anche questa direzione possa passare di mano.
E d’altra parte va visto anche il rovescio della medaglia: questa esperienza che sto vivendo potrebbe costituire una occasione in più, per la rivista, di valorizzazione interna, di echi ed apporti nuovi che potrebbe avere in ambienti che prima erano, magari non estranei, ma certamente più lontani, di sinergie positive che si possono creare. Ecco, io credo che da questo punto di vista l’autonomia rimanga piena e si correli anche a una valorizzazione di un’esperienza di tipo nuovo che può essere fatta insieme da me e da tutti gli amici di «Testimonianze». |