Cosi' apri' le porte ai non credenti
Pubblicato sul Corriere Fiorentino il 12 luglio 2016
Mons. Silvano Piovanelli era della generazione di don Milani, di don Cubattoli e di padre Balducci. Nato a Ronta (in quel tratto del Mugello che inclina verso la Romagna), aveva le radici, proprio come il fondatore di “Testimonianze” (nativo di S. Fiora, sull’Amiata), in una terra di montagna, sia pure situata sul versante opposto della Toscana. Forse venivano da quelle origini, i tratti di semplicità e di naturale vicinanza alla gente che hanno contraddistinto l’arcivescovo emerito di Firenze. Un uomo amato e rispettato da credenti e non credenti. Era di quelli ammaestrati dalla vita (e da una particolare sensibilità ) ad avere attenzione per i “lontani”: a Rifredi, cuore della periferia industriale nel dopoguerra, come nel “rosso” territorio di Castelfiorentino. Quando assumerà la guida della diocesi fiorentina, di tali lezioni farà tesoro. Ho un ricordo degli anni del Sinodo (in cui Piovanelli profuse grandi energie), durante un incontro alla Badia Fiesolana. Dall’assemblea non facevano che venire riferimenti alla necessità di dialogare con i “diversamente credenti” e con coloro che non hanno la fede, ma che onestamente si pongono in ricerca. A queste osservazioni, egli non faceva che rispondere, con disarmante semplicità: “Che vengano! Che vengano! Li ascoltiamo”. Il suo profilo, sulla scorta della grande lezione di Elia Dalla Costa, era di carattere eminentemente pastorale. Parlava con i gesti, con il sorriso, con la tranquillità dell’eloquio. Così è stato negli anni in cui ha avuto la responsabilità della guida di Firenze. Così è stato dopo, quando, pur facendo una vita ritirata, sempre si rendeva disponibile, laddove lo chiamavano. A seminari, convegni, presentazioni di libri. Aveva la capacità, che solo le persone semplici e grandi posseggono, di far sentire importante l’interlocutore. Così è stato, per me, quando ho avuto l’onore di essere tra coloro che, pubblicamente, furono invitati a fare gli auguri a Silvano Piovanelli in occasione del suo novantesimo compleanno. Vivevo, fra l’altro, allora un momento dolorosissimo della mia vita; non dimenticherò mai l’affetto vero con cui mi ha abbracciato . Quando fu il suo turno, parlò della missione nobile della politica e della distinzione fra sfera spirituale/religiosa e sfera civile. Riflessioni di alto profilo, che oggi suonano desuete, e che sembrarono una sorta di anticipato testamento spirituale. Un ricordo, a mio parere, svetta su tutti: il passaggio in cui celebrò le solenne cerimonia d'addio ad Ernesto Balducci nel Duomo di Firenze. Allora, ci fu chi non capì, su un versante o sull'altro, della Chiesa e della società fiorentina. E non piacquero “ a sinistra” le parole in cui sottolineava che Balducci si era mosso sul fronte “del cosiddetto dissenso cattolico” e “sul filo dell’ortodossia”. Parole che potevano suonare cautelative rispetto all’apparato ecclesiastico, ma che forse riflettevano onestamente anche un modo di essere: quello di un innovatore, vicino al popolo e capace di dialogare con le posizioni radicali, ma profondamente fedele all’ istituzione. In realtà, quell’atto parlava da solo. Piovanelli aveva voluto coraggiosamente rendere omaggio a chi si muove in zona "di confine" e "in partibus infidelium". Tra i messaggi che, ora, hanno espresso cordoglio anche quello di papa Francesco. Un riconoscimento del valore del percorso di un uomo, che, con il passo lieve del riformatore gentile ed il tocco del pastore buono, ha saputo accompagnare e precorrere i tempi di un cambiamento che batteva alla porta della comunità e che preme ormai sul mondo intero.
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