Difendere la bellezza � un atto politico. La retorica non basta
Pubblicato sul "Corriere Fiorentino" il 21 maggio 2017
Pensieri sulla bellezza. E’ il titolo del volume di «Testimonianze» di cui Sergio Givone, Cristina Acidini, Giorgio Federici e Alessandro Andreini (accompagnati dalle letture di Massimo Salvianti) discuteranno con chi scrive il 23 Maggio (ore 18.00) nel suggestivo contesto del Cenacolo di S. Croce. Un luogo-simbolo e un concentrato di arte, spiritualità e storia. Un simbolo, anche, della bellezza sfregiata e ferita, il Cenacolo, invaso e danneggiato dalla furia delle acque della «grande alluvione» del 1966. Firenze, come è stato ricordato nel cinquantesimo anniversario di quegli eventi, seppe però reagire: nella disgrazia, ebbe la forza e la voglia di rinascere. E’anche di Bellezza salvata ( titolo della Mostra di Palazzo Medici Riccardi di cui Federici scrive su «Testimonianze») che è giusto parlare. La competenza e l’arte del restauro sono parte significativa della storia dei decenni appena trascorsi e rappresentano un patrimonio da non disperdere. La bellezza e i tesori dell’arte sono una ricchezza dell’umanità, in tutte le civiltà (nel volume, Luca Faccenda parla, ad esempio, dell’«altra bellezza», quella delle culture orientali). Ma essa è caratterizzata da elementi di grande fragilità. Esposta ai colpi degli eventi calamitosi (le alluvioni, o i terremoti, come quelli che hanno devastato gli stupendi piccoli borghi dell’Italia centrale), ma anche all’azione dissennata dall’uomo, allo snaturamento della città, alle logiche consumistiche, all’inglobamento in una sorta di indistinta dimensione-Dysneyland. Sono considerazioni che ci ricordano che dei beni (e della bellezza) della città, come sosteneva Balducci, noi non siamo i padroni, ma solo gli «eredi fiduciari». Un’avvertenza rivolta, in primis, a chi ha la responsabilità della conduzione della cosa pubblica. Perché quello della bellezza è anche un tema politico di prim’ordine. Non basta la «retorica del bello» a salvare l’anima delle classi dirigenti. Servono atti concreti e assunzioni di impegni che diano alla valorizzazione del bello il posto che dovrebbe spettarle non solo nell’ «agenda della politica», ma nel percorso complessivo di crescita della società. Sono temi su cui, più delle parole, contano gesti che hanno la forza di un simbolo. Il papa che va a Barbiana rende omaggio non solo alla figura di don Milani, ma anche alla purezza incontaminata (che tale è bene il più possibile si mantenga) di un luogo di cui risalta l’immersione nella natura (in un ambiente di cui ai tempi del priore emergeva soprattutto il deprimente isolamento) e la capacità muta di tramandare la memoria di una storia che, da un poggio battuto dal vento, ha propagato la sua eco in tutto il mondo. Quel che un tempo era percepito come desolazione, oggi ci è restituito in una dimensione nuova di bellezza. Non succede solo per Barbiana. Così è anche per i bellissimi paesaggi a sud di Siena, dalla Val d’Orcia all’Amiata, terre un tempo di marginalità e oggi considerati gioielli ambientali, patrimonio dell’intera umanità. Il sentimento del bello è universale ed è, al contempo, condizionato dalla storicità dei gusti e dei modi di pensare e dalla relatività delle culture. Di certo, esso è un aspetto fondamentale della sensibilità e dell’anima dell’uomo. In una società mossa da pulsioni consumistiche e adagiata sulla cultura dell’effimero, educare alla Bellezza significa contribuire a recuperare la percezione della profondità delle cose ed il senso del mistero in cui siamo immersi e che i rumori di fondo del nostro tempo non riescono, malgrado tutto, a cancellare.
Severino Saccardi
(“Corriere Fiorentino”, 21 Maggio 2017)
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