Simone, gli esuli e il Muro mai caduto
pubblicato sul "Corriere Fiorentino" il 12 febbraio
Simone Cristicchi è un artista di spiccata sensibilità sociale, che si ispira ai temi di una umanità segnata dall’esclusione Ma questo non gli ha risparmiato la contestazione dello spettacolo sul dramma delle Foibe. Le contestazioni, in democrazia, sono legittime. Meglio sarebbe, però, se venissero promosse con piena cognizione di causa. Dispiace (dice Cristicchi, nell’ intervista a cura di David Allegranti, sul “Corriere Fiorentino” del 9 Febbraio) «per il dolore degli esuli, che si trovano, a settanta anni di distanza, davanti chi inneggia a Tito in contrapposizione ad una storia che non vuole avere colore politico». E’ disarmante, su questi temi, dover ricominciare ogni volta daccapo. E fare i conti con una rappresentazione di quelle lontane vicende anacronisticamente segnata dalla contrapposizione ideologica. Come se la memoria dei morti prodotti dall’ «italianizzazione» (fatta di «lingue tagliate» e di devastazione culturale) voluta dal fascismo appartenesse principalmente al patrimonio della sinistra. E come se, viceversa, i poveri cristi buttati nelle Foibe, con la sola colpa di essere di ingombro ad un disegno di egemonia etnica, dovessero essere ricordati prevalentemente dalla destra. Le violenze di prima, che meritano l’aspra condanna della storia (vale su questo la lezione di Boris Pahor), non valgono a relativizzare il dramma provocato dalla disumanità, presentata come «vendicatrice», di poi. Quale fosse, poi, il numero delle persone uccise è questione di macabra contabilità che non altera la sostanza di quel che lì si è consumato e che ora si inizia, in maniera finalmente condivisa, a ricordare. Dopo una lunga rimozione. Rammento la sorpresa ed il raccapriccio che provai, nei primi anni settanta, quando un mio amico, allora studente (molto) «di sinistra» come me, mi mostrò le foto, procurategli da una signora istriana da cui egli era in affitto, di ritrovamenti di resti umani negli anfratti di quelle terre. Fu, per chi scrive, la spinta a ripensare molte cose: inclusa la stereotipata immagine che portava a guardare con sospetto i profughi (istriani, giuliani e dalmati) che, a migliaia, avevano dovuto abbandonare la Jugoslavia «socialista». Schemi del mondo della «guerra fredda». Che, pure, era più controverso di come lo si potesse immaginare. Nella (bella) intervista di Cristicchi c’è un passaggio che, con lo stesso artista, sarebbe interessante discutere se sarà ancora con il suo spettacolo a Firenze. E’ là dove si parla del «lato oscuro del comunismo che diventa nazionalismo», portando a conferma il fatto che «Tito fu espulso dai movimenti internazionali del comunismo da Stalin per le sue derive nazionaliste». In verità, è difficile negare che rispetto al disegno egemonico dell’Urss staliniana (che usava l’ «internazionalismo» per controllare i paesi sottomessi), Tito avesse mostrato determinazione e coraggio nel manifestare la sua opposizione. Certo è che lo fece ricorrendo a sua volta a mezzi assai brutali. Rinchiudendo gli oppositori filo-moscoviti nel piccolo, ma crudelissimo, «gulag» dell’«isola calva» di Goli Otok e imponendo un ferreo controllo del Paese di cui la «pulizia etnica» era organicamente parte. La trama dei percorsi storici va ricostruita nella sua interezza e complessità. E’ in questa ottica, ed al di fuori di ogni strumentale unilateralità, che la ricostruzione critica delle tragedie del «secolo breve» può consapevolmente essere finalizzata alla formazione di una coscienza civile che abbia come indiscusso riferimento l’universale promozione della dignità e dei diritti dell’uomo.
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