Il 56, fantasmi e lezioni deluse
Il Firenze, 13 ottobre 2006
Anche Bertinotti è andato a Budapest. Dopo Napolitano. Per rendere omaggio ai martiri della rivoluzione ungherese del 1956. Sono atti importanti. Che hanno dovuto attendere 40 anni per essere compiuti. Sono percorsi lenti.
Personalmente, del 1956 non ricordo pressoché niente. Sono giustificato: ero troppo impegnato a contemplare progressi e pastrocchi del mio quaderno di seconda elementare. Ma ho in mente, ancora qualche anno dopo, come si sentissero punti sul vivo familiari e conoscenti di idee comuniste a sentir rammentare il 1956. L’unico, o uno dei pochi, a dire la verità sull’Ungheria fu un grande toscanaccio: Indro Montanelli. Che scrisse cose che fecero infuriare il PCI, ma che piacquero poco o niente anche ai suoi lettori borghesi. Raccontò che a Budapest, in piazza e per le strade, c’erano non tanto borghesi e nazionalisti. C’erano soprattutto giovani comunisti e socialisti, che non volevano più il dominio sovietico. C’era il protagonismo degli studenti e dei lavoratori. Che costituirono i Consigli operai. Fosse stata ancora viva,la “rossa” Rosa Luxemburg ne sarebbe stata entusiasta. Ed entusiasta ne fu una studiosa libertaria come Hannah Arendt. Ma la “normalizzazione” imposta dai carri sovietici calò il sipario.
Sono pagine (dolorose) di storia. Per gli studenti delle nostre scuole corrispondono ad un paragrafo di dieci righe .
Come stupirsene? Viviamo nell’inconsapevolezza del nostro passato. Abbiamo già dimenticato cosa è stato anche il grande spartiacque del 1989. Che fece crollare il Muro fra Est ed Ovest. Il messaggio delle”rivoluzioni di velluto” è stato disatteso, rimosso o tradito. Ma era un messaggio incentrato sulla riunificazione di giustizia e libertà. I due valori che il Novecento, ideologicamente , aveva separato.
Certo, il crollo dei muri europei (molti dei quali rischiano ora,immateriali, di riemergere) non ha risolto tutti i problemi. Lo ricordava, allora, Balducci: “E’ rimasto in piedi il Muro maestro della separazione fra Nord e Sud del pianeta”.
Ma, anche su questo, le esperienze dell’Europa centro-orientale avrebbero di che farci riflettere.
Proprio nel lontano 1956 (che, prima ancora che in Ungheria, esplose in Polonia) gli operai di Poznan mostravano un cartello. Su cui era scritto: “Non c’è pane senza libertà. Non c’è libertà senza pane”. Un ammonimento ed una lezione che il nuovo millennio ha ancora da apprendere.
Severino Saccardi
Direttore di “Testimonianze”
Consigliere regionale della Toscana
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