Tutti uniti dall'umana fragilita'
Il "Firenze" 3 novembre 2006
Durante il Concilio Vaticano II, un cronista (che voleva una dichiarazione un po’ sopra le righe) chiese ad un teologo progressista: “Chi sono i poveri?”. Ma il teologo rispose: “Tutti siamo poveri.
Perché tutti dobbiamo morire”. Le domande sul senso ultimo dell’esistenza sono legate alle grandi ricorrenze dei giorni appena trascorsi. Quelli del ricordo dei defunti. Della memoria e del rimando alla ricchezza umana che chi non è più ci ha lasciato. I “temi ultimi” (ricerca di senso, rapporto vitamorte) sono universali e comuni a tutta l’umanità. Ma vengono declinati in maniera diversa nelle varie culture. Il confronto interculturale passa anche da qui. Il cristianesimo ha al centro la promessa della Resurrezione. Il Corano dice che “tutto sulla Terra è nulla; sola eterna rimane l’essenza di Dio”.
Anche se diversi sono i riti funebri, le tradizioni dell’inumazione e le credenze relative a quel che ci attende oltre la soglia estrema. I testi sacri della tradizione indiana fanno riferimento al ciclo di esistenze in cui si susseguono nascita e fine. Il buddismo cerca una risposta alle domande sull’esistenza ed alla sofferenza con la misericordia e con la forza della meditazione. Ma non è solo questione di posizioni filosofiche e religiose diverse. I differenti costumi, riti e tradizioni dei migranti devono armonizzarsi con le norme delle società di accoglienza e dello stato laico.
Culturalmente è comunque vitale aprirsi all’ identità dell’altro. Sulle domande relative a temi così decisivi ed universali (che tali sono per la nostra comune caducità) è importante conoscere le risposte altrui. E ricordare,intanto, le importanti riflessioni che fanno parte del nostro patrimonio culturale.
Quella ad esempio del grande scettico Leopardi che proprio dalla comune condizione di fragilità faceva derivare la possibilità di una solidale catena fra gli esseri umani. O quelle di un grande spirito religioso come Pascal. Che parlava del divertissement (fare affari, cercare amanti, combattere guerre…) che gli uomini mettono in atto pur di allontanare il pensiero dell’ultimo viaggio. Ma che diceva anche che l’uomo, fragile come una canna, è comunque una canna che pensa. Qui stanno la sua povertà esistenziale e, insieme, la sua libertà, la sua dignità e la sua capacità di condividere la sorte dei suoi simili.
Severino Saccardi
Direttore di “Testimonianze”
Consigliere regionale della Toscana
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