La democrazia delle Primarie e i rottamatori alla prova
Corriere Fiorentino, 26 ottobre
Ha gettato un sasso nello stagno, Valerio Onida, candidato della “società civile” alle Primarie PD di Milano. Non si tratta di entrare nel merito delle critiche che vengono mosse agli “apparati” milanesi del PD, ma di cogliere le implicazioni generali di una questione che (come ricorda Paolo Franchi sul “Corriere”) pone la democrazia delle Primarie alla prova della credibilità.
Di un simile tema parleranno gli “autoconvocati” a Firenze? Forse, dovrebbero farlo. A meno di non imprigionare il dibattito nella rappresentazione delle tesi favorevoli o contrarie alla “rottamazione”. Di mezzo ci sono i nodi del carattere democratico della decisione politica, della rappresentanza e della selezione dei gruppi dirigenti. Viviamo, d’altra parte e contemporaneamente, gli effetti della “crisi della politica” e dell’accentuazione del carattere “separato” delle logiche della partitocrazia. Logiche che, per essere smontate, devono essere correttamente individuate. Per perseguire validi rimedi. Bene, dunque, il ricambio generazionale (ma, come ha detto lo stesso Matteo Renzi, in questione non è solo l’anagrafe), bene il limite ai mandati in Parlamento (o in altre assemblee elettive), bene anche le Primarie. Ma il problema non è solo di essere pro o contro le Primarie. Il problema è come garantirne la conduzione (e la sostanza).
Mi avvalgo (per aver vissuto quell’ esperienza, dall’esito personalmente non felice) dell’esempio delle Primarie di un anno fa per la selezione dei candidati al Consiglio Regionale della Toscana. In tale passaggio fu di palmare evidenza che si finisce per condizionare la logica delle Primarie, che dovrebbe porre tutti i candidati sullo stesso piano, se essa viene fatta interagire con le scelte e le dinamiche degli apparati (o di pezzi di apparato e di correnti) di partito, che sono tutt’altra cosa.
Una scelta va fatta. Altrimenti, pur mettendo formalmente i partecipanti in condizioni di parità, si fanno, per dirla “milanianamente” (nel senso di Don Milani), parti uguali fra diseguali.
In questione non è solo la correttezza o meno delle procedure o dell’accesso a dati ed indirizzari (come a Milano). In forse è la praticabilità della riforma della politica. Che è altra cosa dal ringiovanimento interno di un ceto chiuso in se stesso. Se la rappresentanza politica e la selezione dei gruppi dirigenti non si ridefiniranno riaprendo davvero le porte anche ad esponenti del mondo del lavoro, della società civile e della cultura, la partita del rinnovamento è persa. La componente “professionale” della politica è, come intuiva Max Weber, ineliminabile. Deve però recuperare il senso del limite. Che è la premessa per una equilibrata della modernizzazione della società e per la restituzione dello scettro dell’autorevolezza alla politica democratica.
Non so se è (anche) di questo che gli “autoconvocati” intendano parlare.
Certo è che, a partire dal circoscritto caso di Milano, de te fabula narratur.
Severino Saccardi
Direttore di “Testimonianze”
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