Enrico Chiavacci, la grandezza ritrosa di un parroco teologo
Pubblicato il 30 agosto su Stamptoscana.it
Quando, qualche giorno fa, ho saputo della scomparsa di don Enrico Chiavacci, mi è riemerso, nitido, un ricordo. Quello di un suo intervento ad un Convegno di “Testimonianze” dell’ormai lontano 1983. Il tema del Convegno (della serie “Se vuoi la pace prepara la pace”) era: “Nord e Sud / armi e fame”. Gli anni erano quelli immediatamente successivi allo storico “Rapporto Brandt”, in cui il grande cancelliere tedesco aveva fatto, in termini incisivi, il punto sullo stato delle relazioni (economicamente, socialmente e politicamente) squilibrate fra i “Paesi sviluppati” ed i cosiddetti “paesi emergenti”, contribuendo ad una più diffuso presa di coscienza dell’importanza dei temi della giustizia a livello planetario. Temi a cui don Enrico Chiavacci, come credente e come teologo, come studioso e come uomo civilmente impegnato è sempre stato, quanto mai, sensibile. Erano, del resto, questioni (come egli stesso ricordò, allora, in quel suo intervento) che era solito affrontare con gli “studenti dell’Istituto Teologico Fiorentino e anche di altri istituti dove si studia la morale cristiana”. Giungendo (“io prete”, come si premurava di ribadire) , in merito, a conclusioni drastiche. Che lo portavano ad affermare che “qui (…) siamo di fronte al male assoluto, perché il maligno, il rovescio di Dio è il potere dell’uomo sull’uomo”. Posizioni, quelle già allora maturate dal grande teologo moralista, tanto più significative se si considera che don Chiavacci non era certo un agitatore o un barricadiero. Era, anzi, e senza tentennamento alcuno, uomo dell’Istituzione. Alieno dal radicalismo verboso e dai velleitarismi ideologici, ma, certo, profondamente consapevole della tensione costante fra le istanze della fedeltà e quelle della libertà. Quella stessa tensione al cui interno continuamente avevano scelto di muoversi (con modalità diverse, ma non dissimili, dalle sue) “preti di frontiera” come Ernesto Balducci e Lorenzo Milani. Chi era don Enrico Chiavacci? Un uomo di studio di levatura più che notevole, certamente, ed un eminente teologo, ma anche, come in mille modi, e quasi con ostentata semplicità, tendeva a rimarcare, anche un semplice prete. Parroco a Santo Stefano a Ruffignano, nel Comune di Sesto Fiorentino, dove gestiva i rapporti con i fedeli e faceva il catechismo ai ragazzi. Era (in questo senso, in modo del tutto analogo a Balducci) un prete, d’altra parte, assai poco “clericale”, con una disposizione costante all’analisi “laica” dei problemi del mondo ed al dialogo, aperto e spontaneo, con i non credenti. Non è a caso che gli ambienti del cattolicesimo più conservatore e i movimenti con propensioni integraliste lo vedessero come fastidiosissimo fumo negli occhi. Ma don Enrico, non sembri un paradosso, faceva pratica ed esperienza della libertà (dando una curvatura affatto particolare alla dinamica sopra accennata) proprio in nome della fedeltà. La fedeltà al messaggio del Concilio Vaticano II, soprattutto. Alla “Gaudium et spes”, cui così spesso si richiamava e, poi, sulla scia di analoghi riferimenti, all’enciclica “Populorum Progressio”. Sul Concilio era, ovviamente, preparatissimo, come ebbi modo di verificare, una volta di più, qualche anno fa, quando in modo puntuale e con stile un po’ dottorale, ma con minuziosa capacità di ricostruzione di contenuti e contesti storici, l’ho sentito parlare in Palazzo Vecchio, in un incontro organizzato da una pluralità di gruppi e movimenti fiorentini, a suo tempo, in occasione del ricordo dell’ inaugurazione del Vaticano II. Il tono era piano, perfino un po’ monocorde, ma le posizioni espresse erano incisive, le considerazioni erano taglienti e lo sguardo, più che alla commemorazione del passato, era rivolto ad una possibile delineazione del futuro. Era un conferenziere colto, e pignolo nei riferimenti, il teologo Chiavacci, ma era anche, e soprattutto, un infaticabile scrittore, saggista e (in senso alto) divulgatore. Argomentava, spiegava e combatteva, con la forza dei suoi testi, dei suoi articoli e dei suoi libri. Libri con i quali più generazioni di studenti, di intellettuali e di uomini e donne di buona volontà hanno dialogato. Aveva una grande capacità di spaziare fra temi diversi (anche se legati da una sotterranea, e peraltro evidente, connessione) come la demografia ( affrontata insieme ad un grande studioso del settore come Massimo Livi Bacci), la procreazione (e in merito al nesso etica-riproduzione si è fatto portavoce di non poche aperture in ambito cattolico), la “rivoluzione sessuale” e la sua successiva banalizzazione e mercificazione, la bioetica. Ma è stato sui nodi roventi della giustizia, della critica di una “globalizzazione” che ha lasciato le briglie sciolte alla speculazione finanziaria ed alla nuova e disinvolta versione del liberismo di questi anni che egli ha connotato, e qualificato, senza mai arretrare, la sua riflessione culturale, etico-spirituale e civile. Pur essendo uomo ligio finanche alle forme esteriori dell’istituzione-chiesa, don Chiavacci non ha mancato mai di criticare, all’interno di questa, le posizioni tendenti al compromesso con i poteri del mondo e che pensavano di “avvantaggiare il Vangelo tradendo il Vangelo”. Con la grande cultura contemporanea (spaziando in diversi ambiti di riferimento: da Freud, per dire, fino ad Amartya Sen) ha mantenuto un’interazione ideale attiva e costante. L’uomo, egli sosteneva, è assai più “cultura” che non “natura” (anche in polemica con certe assolutizzazioni di tale concetto nel pensiero cattolico). E’ chiamato ad essere costantemente in ricerca, in cammino e a sapere modulare le sue scelte in relazione ai “segni dei tempi”. Il Vangelo ( era la sua tesi, capace di essere compresa da credenti e non credenti ) è seme e lievito. E gli esseri umani, a qualunque credo, idealità o identità appartengano, assai più che alla fedeltà cieca a principi definiti in forma rigidamente dottrinale sono chiamati a dar rilievo al “primato della coscienza”. Un principio a cui don Enrico Chiavacci, nella suo cammino esistenziale, spirituale e culturale, ha cercato certamente di mantenersi fedele. La sua lezione, di cultura, fede e di vita, in definitiva, sta tutta qui.
Severino Saccardi |