Testimonianze Perche'
in forma di consegna (Testimonianze n.459/2008)
Non sono stati anni semplici, quelli di cui questo secondo volume (edito a chiusura degli eventi del cinquantennale) dal titolo “Testimonianze” perché vuole dar conto. Con una selezione di brani antologici e con la rivisitazione di temi e dibattiti, cui amici, studiosi, interlocutori della Rivista hanno, nel tempo, fornito importanti contributi.
Sulla copertina un bel disegno del pittore, di origine curda, Fuad Aziz. Una faccia di donna sormontata da una colomba. E’ uno dei lavori che un gruppo di artisti fiorentini, con generosità, su sollecitazione di Giampiero Iacopini, ha dedicato allo speciale “compleanno” di “Testimonianze”, ai suoi temi (mondialità, pace e diritti), al suo fondatore, Ernesto Balducci.
Il motivo di copertina è un po’ l’emblema del percorso che, con forte motivazione, ma in mezzo a non poche asperità, la Rivista ha affrontato. E che ha portato, se non ad un compimento, alla delineazione di una nuova stagione, alla quale la storia di cui queste pagine offrono un distillato ha da essere consegnata. E’ un’immagine di pace, quella di Fuad. Quello della pace (nel contesto di un “nuovo umanesimo”, evocato nell’immagine che correda questo testo), è stato, da sempre, il tema-chiave di un impegno che ha alle spalle il “laboratorio fiorentino” animato da personalità “di frontiera” come Giorgio La Pira ed Ernesto Balducci.
Con gli anni Ottanta (v. il primo volume di “Testimonianze” perché) questo tema assume una valenza del tutto particolare. E’ inevitabile: la corsa bipolare agli armamenti e la “logica di Yalta” esprimono il massimo della loro pericolosità e, insieme, annunciano il loro declino. E’ un riferimento-cardine quello della pace che, però, deve articolarsi e arricchirsi di problematici rimandi: il Nord-Sud, i diritti umani, una nuova cultura della sicurezza e della convivenza da rapportare all’interdipendenza dei destini umani.
Sappiamo quali sono stati gli snodi epocali che stanno sullo sfondo e costituiscono l’inevitabile rimando dei dibattiti che animano, fra i tanti, anche il “microcosmo” di “Testimonianze” nel passaggio dagli anni Ottanta al decennio successivo. Il crollo del Muro (o, meglio, dei molti muri) in Europa, il crollo, anche, dell’URSS (e, con essa, di tutto un mondo), un continente, lacerato e diviso, che ritrova se stesso e, pur tra mille contraddizioni, imbocca la strada di una nuova unificazione.
Passaggi ai quali, pur con trasalimenti e repentini aggiustamenti di analisi nel nostro dibattito interno, arrivammo non del tutto impreparati. Il senso forte delle radici e dei valori ad esse connaturati, ma anche i notevoli elementi discontinuità maturati nel decennio degli Ottanta (politicamente, sul tema dei diritti umani e dell’analisi delle contraddizioni dell’Est europeo; culturalmente, sul piano dei rapporti fra fede-storia-cultura della convivenza, con un’ accentuazione della valenza della laicità), sembravano abilitarci al confronto con le sfide del tempo nuovo. Ma sarebbe stato, da lì in avanti, un tempo irto anche di inedite contraddizioni. Non l’epoca lineare del consolidamento della pace. Ma, anche, quella di una nuova cultura, e pratica, della guerra. I brani dell’antologia stanno lì ad ricordarlo: parlano del dramma in ex Jugoslavia (Bogdanovic), della lacerata società algerina (Mimouni), della (prima) Guerra del Golfo (Tugendhat), individuano i rimedi necessari, ma sempre rinviati (come quello di Rifare l’ONU, evocato da Cassese). Certo, non sono smarrite le suggestioni di un “nuovo ritrovamento” (v. Goldkorn sullo stupore degli occidentali per la scoperta di realtà urbane dell’ex “Europa dimenticata”, come Vilnius). E, sul tema della città (cui “Testimonianze”, nel ‘92, dedicherà il volume monografico : Europa, un continente e le sue città), danno la forza della speranza immagini come quelle di Michelucci (in occasione del precedente Convegno su La sfida delle città) nel richiamo alla “città-tenda” da contrapporre alla “città-carcere”. Ma a dar voce al senso di smarrimento che deriva dalla crisi della convivenza nella nostra “domestica” realtà urbana, è il grande Franco Fortini che parla della sua Milano, città scomparsa. Gli anni Novanta, del resto, poco lontano da casa nostra, lasceranno spazio, in un contesto ben più drammatico, all’“urbicidio” nell’ex- Jugoslavia.
Resta, in ogni caso, che, proprio il tema-città apre all’orizzonte delle sfide nuove degli anni duemila. Quella del confronto con le identità “altre” e con la questione del multiculturalismo (v. il brano di B. Zarmandili su Istanbul, città europea nel cuore dell’Oriente; un’anticipazione, quasi, delle immagini che il premio Nobel e “scrittore scomodo” Orhan Pamuk magistralmente squadernerà di fronte alla pubblica opinione “globale”). Una questione grande come il mondo. Ma, anche, la sfida che ci tocca da vicino con il tema della convivenza fra diversi da inventare in casa nostra. Le pagine di “Testimonianze” si aprono, in un’ottica, come sempre, “plurale”, al dibattito su tali, decisivi, problemi. Così la Rivista procederà, in fasi non sempre facili della sua esperienza, messa a confronto con passaggi, anche, fortemente dolorosi e traumatici. Come quello della scomparsa, nel 1992, di Ernesto Balducci. Dopo un periodo di difficile assestamento, la “nuova serie” della Rivista si apre con un numero (il 392) dal titolo emblematico e, per così dire, programmatico: Il fascino ambivalente del villaggio globale. Vi contribuiscono (scrivendo di mondializzazione, “terra-patria” ed etica planetaria) autori come Edgar Morin e Mauro Ceruti. La riflessione, a più mani e a più voci, sulle ambivalenze e sulla cultura della complessità (con la molteplicità dei suoi rimandi) è stata tratto distintivo ed elemento pervasivo della “linea” della Rivista in questi ultimi dodici anni. Un lavoro cui molti ed autorevoli apporti hanno contribuito. Come quelli di Adriano Sofri, Pietro Ingrao, Eugenio Borgna, Dacia Maraini, Walter Veltroni, Giuliana Sgrena, Claudia Mancina, Moni Ovadia, Predarag Matvejievic, Carlo Maria Martini, Enrico Chiavacci. Per non citarne che alcuni.
Contributi preziosi che ci hanno confortato e molto ci hanno aiutato nella scommessa che ci eravamo prefissi di affrontare, in tempi, come abbiamo detto, non semplici.
La scommessa non solo di “resistere”, garantendo la continuazione di “Testimonianze”, ma di portare avanti un percorso che si proponesse tutt’altro che come pura espressione di tenace sopravvivenza. Un percorso che cercasse (come abbiamo voluto fare, con risultati che non sta a noi giudicare) di sperimentare l’innovazione e di misurarsi con l’inedita complessità e contraddittorietà del reale. In relazione all’esito provvisorio di tale cammino, il nostro cinquantennale (una pluralità di realizzazioni editoriali e una numerosa gamma di eventi, di carattere non celebrativo), che con questi volumi va a concludersi, è anche un momento di verifica.
Un’occasione per ragionare sull’oggi e sulle prospettive cui guardare .
Vi è, in chiusura del volume, una riflessione a due voci (Vettori, Ceruti) dall’interno del nostro comitato scientifico. E, in forma più discorsiva, sulle stesse questioni si dibatte nel “forum” redazionale che, qui, è riportato. Un “forum” preceduto dagli interventi (con un’impostazione ed un taglio liberamente scelti o modellati in risposta ad un questionario fatto loro pervenire) di diversi e qualificati collaboratori della Rivista. Che, riflettendo sulle strade che si aprono, si pongono, con noi, una sostanziale domanda: ha senso, in tempi così mutati (nell’età della comunicazione globale, di Internet, di google e di wikipedia, della “civiltà dell’immagine”) il permanere di voci e di esperienze come quelle delle riviste di cultura? Come quella, appunto, di “Testimonianze”? Sì, viene detto, se si vi è un lavoro di adeguamento dei contenuti, della connotazione tematica e della programmazione editoriale che sappia porsi al livello della novità e della complessità delle contraddizioni della nostra epoca. Così Boato. Ma anche, in maniera diversificata, altri interlocutori (tra cui, su questa lunghezza d’onda, Vannino Chiti, Giannino Piana, Sergio Givone, Vittoria Franco…). Una risposta, per noi confortante rispetto al lavoro fatto, che, pure, ci carica di responsabilità nuova.
Ha senso, ancora, la forma cartacea della rivista? Sì, dicono i nostri interlocutori. Perché, rileva Gianni Sofri, privarsi del piacere delicato e antico del contatto con la pagina e del suo “profumo”?
Certo, i tempi cambiano. Bisogna interagire con i nuovi linguaggi e con le nuove tecnologie. E questo, anche “Testimonianze”, che ha un blog, un sito, pubblica alcuni prodotti video, si è attrezzata a fare. Una strada inedita si apre. Difficile e ardua, come spesso è stato nel tratto fin qui percorso.
In un viaggio pluridecennale, confortato, per libera opzione, dall’ancoraggio a radici che rimangono intatte pur nello sforzo di innovazione che, per più versi, abbiamo intrapreso.
E’ consegnata alle forze nuove che, per fortuna, sono tutt’altro che assenti, nel piccolo e vivace mondo del nostro “collettivo” (come un tempo si sarebbe definito) di lavoro la sfida di ripensare e provare a declinare con rinnovata efficacia ancora quei temi di libertà, convivenza, solidarietà e pace per affermare i quali, cinquanta anni addietro, “Testimonianze” nacque per dare convintamente voce a quella cultura del dialogo di cui il mondo continua ad avere così grande bisogno. |