Nostalgia dell'eterno e dialogo con l' "altro"
dal N. 477 di "Testimonianze"
In un tempo che sembra votato al rapporto con l’effimero ed in cui la crisi sembra investire, oltre alla sfera economica, la stessa dimensione antropologica, rinasce il bisogno di spiritualità e del confronto con i temi del “sacro” e del “santo”. Temi che sono variamente declinati dalle diverse confessioni religiose che compongono, ormai, il mosaico culturale della nostra società e che sono comunemente convocate all’impegno in difesa della dignità umana. Decisivi e qualificanti possono rivelarsi, in tal senso, il nuovo protagonismo delle donne e l’apporto del “genio femminile”.
Un tempo sarebbe venuto spontaneo impostare la classica analisi sulla «condizione del prete» nella società contemporanea. Ci sono, certamente, anche spunti di questo tipo nella sezione monotematica qui proposta. Ma c’è anche e soprattutto molto di altro e di diverso.
Non solo per considerazioni culturali di fondo da cui sulle pagine di una rivista come «Testimonianze» era imprescindibile partire, ma anche perché nel frattempo la società è profondamente cambiata. E’ cambiata la “geografia spirituale” di un Paese come l’Italia (sempre più secolarizzata e divisa ancora più fra Nord e Sud anche dal punto di vista del comportamento religioso) ed è cambiata la società in generale, che ha un profilo ormai spiccatamente multiculturale. Un dato di cui va responsabilmente preso atto.
L’essenza della città
Diceva il «sindaco santo» di Firenze, Giorgio La Pira (di cui quest’anno ricorre il 60° dell’elezione) che l’essenza di una città è data dalla presenza della fabbrica per lavorare, della casa per abitare e della chiesa per pregare. Un’immagine di grande immediatezza e di forte suggestione simbolica. Ma, per quel che riguarda la dimensione religiosa, oggi, accanto alla chiesa della maggioritaria confessione cattolica e degli edifici di culto delle nostre storiche minoranze religiose (come i protestanti o gli ebrei) ci sono nuove realtà da registrare. Le sale di preghiera, o le moschee, delle comunità islamiche o i luoghi di meditazione, che talora non mancano, dei buddisti e di altre culture e religioni orientali (come gli induisti). Presenze minoritarie, certo, ma che segnalano il bisogno di un’attenzione, di un dialogo e di una sensibilità che, da parte dell’insieme della società, è da attivare.
Si raccontano, nei testi che seguono, diversificate esperienze e si registrano punti di vista di esponenti di diverse realtà confessionali e culturali. Si confrontano impostazioni differenti, eppure non prive di innegabili e profondi punti di contatto, nel modo di rapportarsi al tema del «sacro» e alla sua interazione con il tema del «santo». C’è, in tutti, il richiamo alla particolarissima valenza di una dimensione che conferisce solennità ( Di Porto) ai passaggi fondamentali dell’esistenza e riesce a sottolinearli con i linguaggi della ritualità. Dal nostro venire al mondo e al finale congedo da esso. in un’epoca che pare talora caratterizzata da un apparente ottundimento della capacità di nominare i grandi temi esistenziali, il bisogno di spiritualità non è meno, ma più profondo. C’è un riemergere inatteso di nostalgia dell’eterno nell’animo dell’uomo contemporaneo, apparentemente votato e indirizzato all’effimero. Così è in mezzo alle luci scintillanti delle società affluenti (ma sempre più segnate da una crisi riferibile alla dimensione antropologica, nonchè alla sfera dell’economia). Così è nei luoghi dell’emarginazione e della solitudine . Nelle carceri, negli ospizi, negli ospedali, nei dormitori popolati di migranti. Luoghi caratterizzati non di rado dalle presenze dolenti di esseri umani provenienti da realtà religiose e culturali, oltre che storico-geografiche, diverse che in comune hanno il bisogno di parole di speranza e di lenimento spirituale. Situazioni in cui a dar conforto può essere non solo la figura o la vicinanza del prete, del rabbino o del pastore protestante, ma anche quelle dell’imam, o del religioso e del monaco legati ai culti e alle religioni dell’oriente. Porre la questione all’ordine del giorno (soprattutto in istituzioni come quelle carcerarie o sanitarie) non è una bizzarria, è la responsabile presa d’atto di un cambiamento profondo della nostra società, indotto dalla forza veloce delle cose.
Una funzione di tutto il popolo
C’è, certamente, modo e modo di rapportarsi al tema del «santo» e del «sacro»; così è nel caso dei protestanti che vedono anche simbolicamente nel lacerarsi della cortina del tempio la conferma di un’attitudine di fondo che vuole che la funzione sacerdotale sia di tutto il popolo e di tutti i credenti, senza intercapedini nel rapporto fra l’umano e il divino. Per gli stessi musulmani, del resto, o, come’è più noto, per gli ebrei non esistono ruoli assimilabili a quello cattolico del prete. Ma, nondimeno, figure che facciano da riferimento (sia pure in una posizione ed in un ruolo non proposti come «sacrali») alla comunità, in tali contesti, ci sono, eccome.
Si tratta, in ogni caso e in tutta evidenza, di un tema di grande complessità che non c’è qui il modo né l’intendimento di sviscerare. Anche in ambito cristiano-cattolico, dove pure i preti continuano ad essere talora percepiti come «uomini del sacro» , la riflessione teologica e il riferimento al Vangelo (Prezzolini) si fondano sul riferimento al cammino umano di Gesù che è, in sé, un invito all’abbattimento dei chiusi recinti di una dimensione religiosa fondata sulla separatezza dalla vita comune e dalla polvere del mondo e della storia.
Una riflessione che va, peraltro, rapportata a quel che di radicalmente nuovo nella società in genere, e all’interno degli specifici ambienti delle differenti comunità religiose, va oggi maturando.
La novità più rilevante è, forse, quella di un inedito protagonismo femminile. Un protagonismo che cerca strade e modalità di esplicitazione se non di affermazione anche in un ambito (come quello di cui ci stiamo qui occupando) gestito e interpretato tradizionalmente dall’uomo e da esso, per lo più, raccontato e interpretato.
Il “sacro”, il “santo” e le donne
Con il tema del «sacro» e del «santo» le donne hanno ed hanno avuto, in forme particolarissime, in realtà molto a che vedere. E’ un riferimento che vale per le donne comuni come per gli esempi delle grandi mistiche, sante e pensatrici, come Teresa d’Avila, Caterina da Siena, Margherita Porete. O, in tempi a noi più prossimi, come Simone Weil o Edith Stein. Figure la cui profonda spiritualità ed il cui spessore umano assumono una forza simbolica profonda, generalmente ed universalmente riconosciuta da appartenenti a comunità religiose diverse, da credenti e da non credenti.
Ma, al di là dell’eccezionalità di tali grandi riferimenti, sembrano annunciarsi ormai, pur fra mille difficoltà ritardi e incomprensioni, un tempo inedito ed un cambiamento di mentalità (lo rilevano Noceti, Maggi o Donatio, ma anche alcuni degli interventi «maschili») che ridefiniscono in toto il ruolo e l’immagine della donna ed il rapporto donna-religione. Le donne non sono più solo monache, religiose o teologhe. In ambito protestante (sia pure in un contesto dichiaratamene non «sacerdotale») le donne-pastore celebrano, leggono la Parola rivelata alla comunità e danno a quest’ultima, simbolicamente e realmente, una rappresentanza di segno e di tipo nuovo.
Le resistenze, e le forme di diffidenza, rispetto a tale novità sono di non poco conto. Come ricorda, nel suo contributo, L. Maggi, nel rimarcare con sottile ironia lo smarrimento del «medio» interlocutore cattolico di fronte ad una «pastora» (la cui stessa qualifica sembra fare, terminologicamente, problema). Comunque, il tema della capacità o volontà femminile di farsi partecipe in modo nuovo e non più per interposta persona (Di Porto) della dimensione religiosa in ambito comunitario è posto. Spetterà ora alle diverse confessioni religiose cercare e fornire una risposta a tale aspettativa ed alle istanze che vi sono connesse. La strada è certamente lastricata di difficoltà (evidenti in ambito cattolico, dove pure al valore del «genio femminile» vi sono stati importantissimi richiami), ma è delineata. Vedremo.
Quel che avviene in ambito ecclesiale e religioso ha, certamente un suo segno specifico ed un suo tratto caratteristico, che sarebbe semplicistico ricondurre ad un più ampio sommovimento che sta avvenendo a livello sociale e culturale. Ma collegamenti e connessioni fra fenomeni, per molti aspetti consimili, sono evidenti. Le donne di fede guardano il mondo e imparano dal mondo.
Lo scrutano con interesse e cercano, simpateticamente, di intenderne i segni. I temi della democrazia, della pari dignità e delle pari opportunità sono contagiosi e pervasivi. C’è ovunque «un mondo femminile in lievitazione, che vuole esprimersi, interrogarsi, progettare» .
Interrogarsi e progettare
Potremmo anche dire che il bisogno di interrogarsi e di progettare è comune agli uomini e alle donne del nostro tempo. Non solo le sperequazioni sociali ed il senso di impotenza spesso indotto dall’opacità e dalle prevaricazioni dei meccanismi di potere, ma anche il materialismo pratico (che è cosa diversa dal materialismo ideologico) e la mancanza di prospettive ideali nella società contemporanea evocano talora un vuoto di prospettive che postula implicitamente un’alternativa di vita ed un bisogno di risposte capaci di ridar voce alla speranza.
Gli uomini e le donne di fede (e delle diverse fedi religiose) possono, in questo senso, fornire un contributo specifico alla ricerca che tutti, credenti e non credenti, ci coinvolge ed alla strada comune che, insieme e nel comune riferimento alla dimensione condivisa della laicità, abbiamo da percorrere.
L’ascolto del silenzio ( e della «sacralità» del silenzio, che le diverse tradizioni religiose ben conoscono e del cui valore hanno consolidata esperienza) può, in non pochi casi, predisporre a meglio intendere i richiami e i drammi della storia. Il silenzio non è che predisposizione ad un valore nuovo, e veramente comunicativo, della parola. «La parola che illumina nasce dal silenzio come il fulmine nasce dalla nube» .
E’ dalla meditazione e dalle introspezioni avvolte nel silenzio che può trovare slancio e ricavare ispirazione anche una presenza sociale capace di generare trasformazioni e di comunicare calore umano. Come quella dei «preti di strada», i «preti di scuola» o i «preti del carcere» raccontati, nel libro prima ricordato, da Andreoli. O come era «Don Cuba», il «prete di quelli che non volevano il prete», di cui propone il ricordo Paola del Pasqua.
E’ il tema dell’impegno solidale per la dignità dell’uomo che comunemente interpella i membri delle diverse comunità religiose e coloro che ad una fede religiosa non fanno riferimento. E’ il più impegnativo banco di prova, il confronto con l’«altro». Un passaggio fondamentale, come le riflessioni di questa sezione monotematica concordemente ricordano, perché possa dischiudersi, per chi ha la prerogativa di intenderla, la prospettiva dell’apertura verso il «totalmente altro» , |