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Le attese di ascolto e comprensione. Poi una speranza: l'incontro in carcere
Pubblicato sul "Corriere Fiorentino" il 13 gennaio 2013

1.L’ultima vista pastorale  nella diocesi di Firenze è stata indetta nel 2004. Oggi il mondo è molto cambiato: il Papa è su twitter. Quale significato mantiene questa forma di presenza di un arcivescovo nelle parrocchie? Oppure anche la Chiesa dovrebbe cambiare strada?

 

R. E’ sempre auspicabile esplorare nuove strade. Ma si tratta di un’istanza che non è necessariamente in contrasto con la scelta di rivitalizzare forme più “tradizionali” di intervento e di presenza. Anzi. In tanti ambiti, anche molto diversi fra loro, pressante è la necessità di ricostruire rapporti con la dimensione, umana, sociale e culturale del territorio. Di tornare a guardare in faccia i soggetti sociali e le persone.. Soprattutto, nel “tempo della crisi”. Anche in un  ambito specifico, e particolarissimo, come quello pastorale, è da tale domanda di fondo che sarebbe auspicabile ripartire. Per ricercare, nel dialogo con realtà locali e territori, una risposta alle molte solitudini del nostro tempo.

 

2. Betori nella lettera di annuncio dice che la che visita pastorale non è un’ispezione, ma un incontro con credenti e non credenti. Quanta disponibilità al dialogo troverà  tra i non cattolici? Il processo di secolarizzazione della società quale spazio consente ancora alla Chiesa cattolica?

 

 R. Dipende. Intanto, l’impostazione evidenziata è sicuramente apprezzabile. E’ vero che il dialogo fra la Chiesa cattolica (soprattutto nelle sue rappresentazioni istituzionali e “ufficiali”) e ampi settori della nostra società appare tutt’altro che facile. C’è chi fa notare come sia in crescita una mentalità indifferente al “tema fede” unita ad  atteggiamenti di fondo che sembrano connotare come “generazioni incredule” le fasce più giovani della nostra popolazione.. Ma questa non è che una delle facce della realtà. Che è caratterizzata, su un altro versante, da interrogativi profondi e da intime inquietudini.  Da una grande “domanda di senso”. Una sfida  con cui la Chiesa  può misurarsi con l’esempio e l’impegno concreto “sul campo” più ancora che con l’enunciazione di principi.

 

3. La visita misurerà anche lo “stato di salute” della Chiesa fiorentina. Qual è il suo giudizio?

 

 R. L’impressione che se ne ha è quella di una realtà estremamente variegata. Al cui interno, nella diversificazione delle esperienze, sono presenti comunità vive e sono in atto percorsi importanti, sia sul terreno della spiritualità che su quello della solidarietà sociale. Si ha, però, talora l’impressione di un certo limite di comunicazione (e, forse, di comprensione reciproca) all’ interno del “mondo cattolico”.   Anche in quello fiorentino. Che sembra portato, in alcuni suoi ambiti,  per una sorta di riflesso condizionato, anche a percepirsi ormai come una “cittadella assediata”. Il che non facilita, in un tempo complesso e “plurale” come il nostro, i rapporti con l’esterno.

 

4. Quale può essere il ruolo delle parrocchie oggi? E dei parroci? Anche nella nostra diocesi, ad esempio, è cresciuto il ruolo di alcuni movimenti cattolici (neocatecumenali, eccetera).

 

 R. Intanto, va preso atto, come ho già sottolineato, che il “mondo cattolico” si caratterizza per un accentuato pluralismo interno. Sul piano della presenza sociale, delle opzioni politiche, dell’espressione stessa della spiritualità. Con un linguaggio, forse, improprio , potremmo dire che portare a sintesi sensibilità così diverse è il compito di coloro che, in ambito ecclesiale, hanno responsabilità istituzionali. Le parrocchie vivono, per quel che le riguarda, quotidianamente un’altra sfida. Cristianamente, potremmo dire, quella di annunciare ogni giorno il Vangelo.

 E di testimoniare, in un tempo povero di riferimenti, minutamente una presenza in territori che ne hanno un gran bisogno.

 

5. In che modo la visita pastorale dell’arcivescovo può influenzare la vita civile e politica di questo territorio?

 

R. E’ una risposta, questa, da dare in evidente spirito di laicità (come è consono, peraltro, al direttore di “Testimonianze”, rivista di indiscusse matrici cristiane, ma frutto, oggi, del lavoro comune di credenti e non credenti). Se la visita (come auspicabilmente sarà) si svolgerà in spirito di “curiosità”, di dialogo, di rispetto della distinzione dei piani, può essere un momento importante di comunicazione, di reciproca conoscenza, di interlocuzione e di confronto anche con la realtà dell’associazionismo (non solo con quello “cattolico”), con le amministrazioni locali e istituzionali dei diversi territori.

 

6. Quale messaggio vorrebbe ascoltare dall’arcivescovo quando arriverà nella sua parrocchia?

 

 R. E’ nello spirito della disponibilità all’ascolto e alla comprensione della diversità delle esperienze, delle realtà e delle opzioni di vita che si fonda, spesso, l’autorevolezza di chi ha compiti di orientamento e di guida .

Non so quali saranno le tappe della visita del card. Betori. Mi permetto di suggerire che, se nel suo percorso fosse inclusa anche la realtà carceraria, per rivolgere una parola a coloro che sono detenuti in condizioni inaccettabili, questo passaggio avrebbe un grande significato. “Sono venuto a comprendere e ad ascoltare”. Ho viva speranza che questo saprà comunque  dire, nella sostanza e nelle diverse tappe del suo cammino, il card. Betori. Fornendo, se così sarà, a credenti e non credenti un’ occasione di conoscenza e di crescita comune.

 

Severino Saccardi

(intervista a cura di Mauro Bonciani)

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