Nunes ha insegnato ad ascoltare la societa' in trasformazione
pubblicato il 4 luglio su "Stamptoscana.it"
Ho appreso solo adesso della scomparsa di Gino Nunes. Con Gino, eravamo insieme in Consiglio Regionale nella scorsa legislatura. Non ci eravamo più sentiti, ma di lui ho sempre conservato un ricordo vivissimo. Quando è arrivato in Consiglio Regionale aveva alle spalle quasi un quindicennio di presidenza della Provincia di Pisa (provenendo da Livorno: un bell’ossimoro vivente), dove si era guadagnato, con grinta e sul campo, molta e meritata considerazione. Percorsi, i nostri, affatto diversi: costruito su un solido cammino politico-amministrativo il suo, basato su un’esperienza prevalentemente culturale e sociale quello di chi scrive, oggi, ricordandolo. Eppure c’era (anche grazie alla sua schiettezza ed ai suoi modi franchi e diretti) fra noi un bel dialogo. Era persona, Gino Nunes, autorevole ed ascoltata alle riunioni del nostro Gruppo consiliare di appartenenza (Ds prima, PD poi) in cui interveniva, spesso e con competenza, sui più diversi argomenti: economia e lavoro, infrastrutture e lavori pubblici, sanità e temi sociali. Molte volte, i suoi punti di vista ed i suoi consigli (mai reticenti e mai formulati con i giri di parole del “politichese”) trovavano un riscontro diretto nelle linee e negli indirizzi politici dell’ Istituzione regionale. Altre volte, meno. E’ il destino di chi fa parte, di questi tempi, di un’assemblea elettiva e rappresentativa, sia pure autorevole e di rilievo, come un Consiglio Regionale. Gino ne era consapevole. E, politicamente, ci rifletteva. Più volte avevamo avuto occasione di parlarne. Era, naturalmente, un convinto sostenitore (a questo lo riportava la memoria stessa del ruolo importante da lui svolto alla guida della Provincia di Pisa) della necessità che l’azione di governo dovesse essere dotata di efficacia, possibilità decisionale, robustezza e consistenza di poteri. Ne va della coerenza e della continuità stessa dell’azione politico-amministrativa. Ma della consistenza , ormai ridotta, delle reali prerogative del Consiglio (spesso ricondotto, soprattutto nei gruppi politici di maggioranza, ad una sostanziale funzione di supporto dell’azione della Giunta, di cui si potevano, se mai, chiosare utilmente e limare atti ed indirizzi) era pienamente consapevole. E, in tale ambito, con la sua concretezza, la sua esperienza e la voglia di lavorare politicamente si sentiva, credo di poterlo dire, un po’ stretto. Ma non era di quelli che ne traevano spunti o alibi per non fare. Anzi. Partecipava con intensità e con passione politica, padroneggiando molti e diversi argomenti, alla vita del Consiglio ed al dibattito assembleare. Non sempre usava toni soft, Gino Nunes. Era di un carattere sanguigno e polemico e, secondo una conosciuta ed efficace espressione, non le mandava a dir dietro. Ma mai i suoi interventi erano disgiunti dal rispetto della forma, dall’educazione (nel senso più profondo del termine) e da uno stile politico alieno dallo sminuire la personalità o ridicolizzare faziosamente tesi e posizioni degli avversari politici. Il che gli aveva garantito stima e considerazione in tutti i settori dell’assemblea. Apparteneva, pur essendo per molti aspetti un pragmatico (in un’impostazione che però mai prescindeva dal riferimento a ideali e valori) ed un uomo abituato a guardare avanti e ad amare la modernità degli stili e dei linguaggi, ad una scuola politica (ed umana?) che non c’è più. La stessa, per certi aspetti, del compianto Luciano Ghelli (che aveva fatto scelte ideologiche e politiche sensibilmente diverse da quelle di Gino, pur provenendo dallo stesso ceppo, aderendo ai comunisti italiani) , ma che con Nunes aveva in comune un elemento di fondo: quello di un’idea della politica che contemperasse l’efficacia di strumenti e strategie con la rettitudine della sua impostazione di fondo oltreché dei comportamenti individuali che ne discendono. Una volta ci trovammo, insieme ed inaspettatamente, ad una commemorazione di Luciano Della Mea, scrittore sensibile e fratello di Ivan. Lontane ascendenze comuni, di cui ci trovammo a parlare senza alcun rimpianto (anzi) per le ideologie di un tempo, ma con la condivisa sensazione che una certa sostanza, della radice umana e morale di quelle ormai antiche scelte, meritasse tutt’altro che di essere disconosciuta o consegnata all’oblio. Anche se non era in origine un “politico di professione”, Gino (che era, in realtà, un medico) alle istituzioni oltreché al partito dalla robusta consistenza e dal nome e dall’identità mutevoli (cosa su cui non mancava di fare qualche privata e tagliente ironia, pur avendo politicamente aderito ai cambiamenti politici indotti dalla storia) aveva dedicato la vita. Ma della vita amava anche il lato bello, semplice e un po’ edonistico, che gli accendeva in modo trasgressivo e subitaneo lo sguardo e che gli ispirava allegre e sonore risate capaci di sollecitare condivisione e compagnia. Amava la barca, i viaggi e il mare. Ma anche le chiacchierate amichevoli, nelle pausa pranzo durante i lavori d’aula, gustando avidamente un panino al lampredotto al mercato di San Lorenzo. Sulle questioni della cultura della convivenza, dei diritti umani e della cultura della pace, è cosa che ricordo con commozione e gratitudine, mi ascoltava con grande attenzione. Eppure, per suo conto, di lezioni ne aveva da dare. Era un uomo pugnace nella difesa delle sue opinioni, ma era anche (e non poco) capace di ascolto e di dialogo. Una virtù che è rara oggi nella dimensione della politica. Recuperarne il senso e la pratica è forse il migliore il modo per rendere omaggio a quelli che, come Gino Nunes, hanno lavorato nelle istituzioni con spirito di servizio ed in costante ascolto di una società in profonda trasformazione.
Severino Saccardi
www.stamptoscana.it
4 Luglio 2013
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