Sicurezza e convivenza come argini alla paura
di Vannino Chiti
Sicurezza e convivenza come argini alla paura
di Vannino Chiti
Quello di cui abbiamo bisogno per garantire sicurezza a tutti è un patto di cittadinanza tra gli italiani, nati o residenti nel nostro Paese, che ci accomuni nell'amore per la nostra patria, ci impegni a migliorare le nostre condizioni di vita e di benessere, a rendere la nostra nazione più moderna e più giusta, più coesa, a farne un esempio di convivenza in Europa
Un diritto di tutti i cittadini
Una prima considerazione, così da non lasciare il campo ad equivoci: la sicurezza è un diritto dei cittadini ed è un dovere di ogni Stato democratico assicurarla.
Abbiamo visto tante volte in passato che una democrazia incapace di garantire ordine e sicurezza è stata travolta ed al suo posto sono stati insediati regimi autoritari.
Oggi assistiamo, non solo in Italia, al diffondersi tra le persone di sentimenti di incertezza, di precarietà: la non sicurezza nella propria vita fa venir meno la fiducia, addirittura la speranza nel futuro.
Si tratta di stati d'animo da non sottovalutare, perché possono costituire un possente carburante per l'affermazione delle forze politiche conservatrici e di destra. Non mi riferisco semplicemente a possibili vittorie elettorali, ma a qualcosa di ben più profondo: a modi di sentire, al senso comune, ad orientamenti e stili di vita che, condizionati da paura e smarrimento, si aggrappano all'egoismo personale, di gruppo, di etnie e archiviano la solidarietà.
Sarà bene allora avere chiaro da che cosa sia determinata quella sicurezza alla quale giustamente aspiriamo e che rappresenta un nostro diritto di cittadini.
Senza dubbio è parte importante della nostra sicurezza un vivere ordinato, protetto da episodi dilaganti di criminalità, rassicurato da un funzionamento della giustizia che garantisca certezza ed equità della pena per i colpevoli. Ma questo è solo un aspetto, anche se oggi dilatato a dismisura da un preciso orientamento dei media.
Accanto ad esso hanno un'importanza fondamentale i servizi offerti dal welfare (accesso e qualità dell'istruzione, formazione permanente, sanità e assistenza); la possibilità di un lavoro soddisfacente e poi di una pensione che consenta una vita dignitosa. Incidono infine sulla nostra quotidianità l'avere o meno una casa, l'esistenza o meno di trasporti efficienti che consentano di spostarsi senza ansia e disagi per lavoro, studio, per il godimento di beni culturali, artistici o semplicemente per un tempo di libertà e di vacanza.
Quello insomma che può generare insoddisfazione, incertezza, insicurezza, è costituito da un insieme di aspetti, tutti rilevanti e spesso intrecciati, anche perché il mondo contemporaneo offre alla nostra vita una molteplice ricchezza di tecnologie e una povertà di cultura collettiva con la quale usarle, padroneggiarle, destinarle al raggiungimento di finalità comuni, al perseguimento di un interesse generale che il neo-liberismo di destra ha cercato di cancellare dallo stesso vocabolario della nostra convivenza.
Le persone che affrontano la straordinaria esperienza della vita in questi primi anni del XXI secolo hanno certamente bisogno di beni materiali, quelli essenziali, perché il superfluo crea non differenze legittime e legate al merito, ma abissi di disuguaglianza tra i singoli individui e i popoli, risultando insostenibile anche dal punto di vista della salvaguardia dell'ambiente.
Al tempo stesso abbiamo urgente necessità di una cultura intesa non come dispensatrice di semplici nozioni, ma capace di offrire senso alla vita, alle sue scelte, di essere presupposto per la realizzazione di rapporti integralmente umani.
Oggi i nostri rapporti sono schiacciati dalla ricerca ossessiva della quantità dell'avere, ridotti a merce, umiliati dalla omologazione.
La sicurezza nell’età della “terza rivoluzione”
È tutto ciò un portato di quella che chiamiamo globalizzazione? Certo questa prima fase della globalizzazione, egemonizzata nel mondo dalle destre, ha visto lo sconvolgimento di assetti economici e sociali. Siamo dentro la terza grande rivoluzione produttiva della storia dell'umanità. Dopo quella agricola e quella industriale, oggi sta realizzandosi quella tecnologico-informatica.
Le grandi fabbriche del taylorismo-fordismo, cioè della catena di montaggio, vengono meno: cambiano i modi di lavorare e le influenze che essi esercitavano sulla società, sul formarsi di una coscienza collettiva.
Assistiamo a delocalizzazioni di produzioni, dietro una visione dell'impresa mossa dal profitto come fine e non strumento, dallo scomparire di ogni forma di sua responsabilità sociale.
La disoccupazione, il lavoro precario sono espressione non più soltanto della crisi ma di scelte per fronteggiare la competizione internazionale.
Ecco allora che questo avvio di globalizzazione presenta tre facce, che piombano nella nostra vita quotidiana: perdita di certezza del lavoro e rimessa in discussione dei traguardi di dignità raggiunti; attacco alla qualità e all'estensione delle politiche sociali, che non rappresentano uno spezzone separato dalla vita economica, ma il cuore della sua dimensione civile e del tasso di umanità cioè di giustizia e solidarietà della nostra convivenza; esplosione del fenomeno delle migrazioni, dietro la spinta al lavoro e ad un maggiore benessere per popoli trattenuti sotto la soglia della povertà, della fame, a rischio di malattie da noi scomparse o per sfuggire a guerre ed a catastrofi ambientali.
La globalizzazione e i mercati - come sottolinea anche la recente Enciclica di Benedetto XVI Caritas in Veritate - non sono in sé né buoni né cattivi: sono strumenti nelle mani dell'uomo.
Sono l'uso, le finalità, la politica in primo luogo, che li rendono giusti o ingiusti, positivi per il progresso dell'umanità, perché improntati dalla giustizia, dalla libertà e dalla responsabilità o invece negativi, perché finalizzati a determinare disuguaglianze crescenti, una competizione che premia i più dotati per forza, abilità e spesso posizioni di partenza e riserva a tutti gli altri, al massimo, un atteggiamento compassionevole.
Il nostro tempo vede dunque l'insorgere di sfide che possono mettere a rischio la democrazia, come forma più avanzata di governo, o comunque impoverirla e svuotarla.
La rivoluzione informatico-tecnologica, la globalizzazione, richiedono di essere governate: il neo-liberismo, l'assenza di regole con le quali i mercati dovevano guidare il mondo, sono falliti. L'ideologia della destra ha mostrato la sua inadeguatezza di fronte alle sfide poste dalla interdipendenza del mondo. Non per questo un'altra era si dischiude in modo automatico. Le forze progressiste arrancano, soprattutto in Europa: hanno bisogno di rinnovare la cultura politica; di scommettere sulla centralità della persona; di darsi come obiettivo comune la costruzione della dimensione politica dell'Unione Europea, così da rilanciare la forza della democrazia. Hanno bisogno di tenere uniti uguaglianza e merito, come asse di un nuovo sviluppo, socialmente giusto e ambientalmente sostenibile, e di un welfare che realizzi fin dall'infanzia opportunità per ogni persona e non, come un passato che sopravvive e divide i ceti popolari, mentre va scomparendo la catena di montaggio, un risarcimento del rischio.
La destra, dietro questa crisi che scuote non solo l'economia ma i fondamenti della società e richiede per andare avanti cambiamenti profondi, non si rassegna ad un declino, conseguenza del fallimento della sua ideologia, ma risponde con la scelta di alimentare le paure e le incertezze che derivano dalle precarietà sociali e del lavoro, di indirizzarle verso una precisa causa, così da mantenere ed estendere un consenso politico ed elettorale.
La sicurezza viene così ridotta al solo ordine pubblico e le paure del nuovo, le preoccupazioni per la crisi, il lavoro, la sicurezza sociale ricondotte al tema del nemico, che le provoca e le esprime: l'immigrato in mezzo a noi. |