Michele Ranchetti
Il Firenze, martedi' 5 febbraio 2008
Ho conosciuto Michele Ranchetti, alla Badia Fiesolana, nei primi anni ottanta. Mi colpì il suo caratteristico aspetto teneramente irsuto e un po’ trasandato. Non era difficile, peraltro, avvicinando il “burbero” Ranchetti, intuire in lui una finezza del sentire ed un’intima signorilità (nel senso più elevato del termine) . Non è semplice ricostruire le mille diramazioni del suo percorso. Nato a Milano, nel 1925, da anni viveva a Firenze. La sua abitazione è vicina alla chiesa di S. Salvatore al monte, dove ieri gli è stato dato l’ultimo saluto.
Aveva avuto un’intensa frequentazione con il grande Franco Fortini, che aveva insegnato a Siena.
E, in memoria dell’amico scomparso, del Centro studi “Franco Fortini” era uno degli animatori. E’ stato, Michele Ranchetti, uno stimato studioso di storia della Chiesa. Si è occupato del modernismo cattolico e del rapporto fra chiesa e società nel nostro tempo. Tra i suoi testi: “Cultura e riforma religiosa nella storia del modernismo” (Einaudi, 1963). Come ha confessato in un’intervista, ha avvertito la dimensione religiosa come un qualcosa “di carattere naturale”. La sua spiritualità non è mai stata, però, un rifugio autoconsolautorio. Si è confrontato con degli antidoti potenti: il pensiero di Freud (di cui è stato appassionato traduttore ) e la filosofia di Wittgenstein. Sulla situazione attuale del cattolicesimo dava giudizi drastici. Indicativi sono due titoli di suoi testi degli anni più recenti: “Gli ultimi preti” (Ediz. Cultura della pace, 1997) e “Non c’è più religione” (Garzanti, 2003). Gli “ultimi preti”,Ranchetti, li ha conosciuti personalmente”: Davide Maria Turoldo, Lorenzo Milani, Ernesto Balducci. Personaggi “di confine”. Che hanno cercato, nell’intreccio di rapporti fra chiesa e
mondo, l’ardua strada di una quadratura del cerchio. In una complessa relazione fra obbedienza e profezia. E’ possibile che con loro “sia scomparsa la figura del prete”, sostiene Ranchetti.
E’ per coerenza evangelica che Michele Ranchetti era giunto a ritenere che l’unica strada ormai possibile fosse quella di una disobbedienza “cieca” e “assoluta”. Una rivolta, la sua, contro il silenzio della cultura “che non fa sentire nessuna voce di dissenso”. Ma anche contro la distruzione sistematica “di ogni forma di cultura religiosa” mentre chi si occupa di queste tematiche è visto come una sorta di relitto del medioevo. C’è molto da riflettere sul lascito di Michele Ranchetti. La cui versatilità si esprimeva in più direzioni. Era anche pittore e poeta (v. “La mente musicale” e “Verbale”, ed. Garzanti). L’ho visto l’ultima volta quando ci ha fatto il regalo di raggiungerci ad una riunione della redazione di “Testimonianze”, in cui discutevamo del Quaderno speciale da dedicare a Luciano Martini. Un altro amico, scomparso un anno fa. Adesso, anche Michele è partito per l’ultimo viaggio. Un’altra delle figure, di quelle rimaste, della grande cultura fiorentina che se ne va.
Severino Saccardi
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