Il 10 Dicembre la Dichiarazione Universale dei diritti umani compie 60 anni. Fu approvata, infatti, nel lontano 1948. Il “secolo breve” aveva già prodotto molti orrori: due guerre mondiali, il genocidio degli armeni, la Shoah, il fungo atomico di Hiroshima e Nagasaki. Forte era la spinta affinché fosse sancito solennemente il carattere intangibile della vita, della libertà e della dignità dell’uomo. Eppure,  la Dichiarazione non fu votata all’unanimità. Si astennero i Paesi del Blocco sovietico (che definivano“formali” i diritti proclamati), il Sudafrica (suscettibile, per l’apartheid, sulla questione della condanna del razzismo) e l’Arabia Saudita (per cui la parità  uomo-donna era improponibile). Comunque, il voto favorevole di 48 Stati sui 56 dell’Onu di allora fu un grande risultato. A  che punto siamo, oggi, in materia di diritti umani? Passi in avanti ne sono stati fatti. E’ aumentato il numero dei Paesi democratici e la messa al bando della pena di morte guadagna consensi. Anche la Corte Penale internazionale (nonostante la non adesione di Usa, Russia, Cina) sta svolgendo un significativo lavoro nel perseguire i crimini contro l’umanità. Ma su tutti i versanti ( dei diritti civili, politici e sociali) i problemi aperti, e le tragedie, abbondano.
Basta scorrere il mappamondo  e richiamare alla mente Medio Oriente, Iran, Somalia, Darfur, Afghanistan o Tibet. La crisi economica rende, peraltro, precario, nello stesso mondo “sviluppato”, il diritto al lavoro (cui è stata dedicata  la Festa della Toscana). Un fronte inedito è, d’altra parte, quello dei diritti di “nuova generazione”, come quelli relativi ad un ambiente non inquinato, su cui Barack Obama  ha, non a caso, incentrato  gran parte del suo programma.
Non poco cammino è stato compiuto. Ma c’è ancora da fare perché l’affermazione che apre la Dichiarazione (“Tutti gli uomini nascono liberi e uguali in dignità e diritti”) abbia effettiva ed universale risonanza in tutti gli angoli del pianeta.

       Severino Saccardi