La voce di un blog contro l'integralismo
Il Nuovo Corriere di Firenze, 1 dicembre 2008
E’ consuetudine che i vincitori del Premio di giornalismo “ISF-Città di Siena” siano ricevuti in Consiglio Regionale. Venerdì scorso, chi scrive e il vicepresidente Alessandro Starnini hanno accolto la delegazione di “Information Safety and Freedom” (che lavora per la libertà di stampa) con il giovane “blogger” afghano Nasim Fekrat. Che rappresentava anche l’amico Sayed Parwez Kambakhsh, studente di giornalismo, in carcere (con una condanna a 20 anni) per avere diffuso una e-mail a favore della parità fra uomo e donna all’interno del matrimonio. Tesi in contrasto con la “Sharia” (legge islamica), che gli è valsa l’accusa di blasfemia. La bestemmia di aver difeso l’uguaglianza dei diritti. Un “reato” che, in prima istanza, aveva comportato per Sayed la condanna a morte (poi commutata in pena detentiva). Un incontro - quello di Palazzo Panciatichi- denso di risonanze emotive, mentre dalla città-martire indiana di Mumbai continuavano a giungere notizie (tra cui quelle della morte del livornese Antonio Di Lorenzo) dei lutti causati dal terrorismo fondamentalista.
Preoccupante è, secondo il giovane “blogger”, la situazione in Afghanistan. I Taliban avanzano, mentre il Governo Karzaj è circondato dall’impopolarità per il diffondersi dalla corruzione. Karzaj, inoltre, commette l’ errore di lasciare spazio ai fondamentalisti, come evidenza il riferimento giuridico alla “Sharia”. I giovani, tuttavia, secondo il resoconto di Nasim, non ne possono più dell’ oscurantismo. I giovani sono la speranza. E la speranza corre anche, in rete, sui pochi Blog di un Paese in cui l’elettricità è un lusso.
Non va abbandonato l’Afghanistan, ci viene detto. Ma, accanto alla forza militare, vanno garantiti sviluppo e democrazia.
Al momento del saluto un’assicurazione e una richiesta: “Porterò il Premio ‘Città di Siena’ e i vostri doni a Sayed. Ma voi aiutateci a tirarlo fuori dalla sua cella”.
Un’esortazione che, nell’ “anno dei diritti umani”, risuona come un imperativo morale.
Severino Saccardi
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