Una cittadina europea
Il Corriere Fiorentino, 22 settembre 2008
Ci sono storie di vita che ci illuminano più degli eventi della vita pubblica. Così la privatissima vicenda di Cecilia. Di nazionalità polacca, chi scrive l’ha conosciuta per il suo lavoro: stiratrice e collaboratrice domestica. Mansioni che Cecilia ha svolto con rigore e puntualità. E con dignità. Diceva: “Non mi sono mai sentita una serva”. “Straniera, sì”, precisava, “serva mai”. Nei tanti anni qui trascorsi, l’italiano di Cecilia si era fatto forbito e l’amore “polacco” per la cultura riemergeva nel tempo libero dedicato alla “sua” Firenze. Una vita di lavoro. Illuminata dall’obiettivo di “sistemare” le tre figlie. Due delle quali, in Italia, avviate a decorosi lavori. La terza, in Polonia, con buone prospettive professionali. Di recente, Cecilia era tornata definitivamente in patria. In una recente visita, ci confessava la difficoltà della “doppia appartenenza”, alla terra ritrovata e alla città italiana, sede delle sue fatiche e oggetto di ammirazione. Due giorni fa, la cruda notizia. Questa donna, ancora giovane, è morta improvvisamente. Una, dolente, storia “comune”. Che vale una metafora. Nel tempo delle ansietà legate al “tema sicurezza”, non è male riconoscere nei percorsi dell’ “altro” il suo essere persona, come noi. Tra i migranti abbondano le persone per bene. Chiedono percorsi di cittadinanza. Diritti e doveri. Molti, come Cecilia, sono “cittadini comunitari”. Il suo personale cammino ci lascia un insegnamento. Nella sua doppia “appartenenza”, nel suo affannarsi per le figlie, nella stessa, drammatica, conclusione di una vita orientata alla speranza di un mondo migliore c’è un tratto del faticoso cammino della comune “casa europea”. Alla costruzione di un unico spazio politico-culturale e di diritto sono deputate le istituzioni comunitarie. Ma vi concorrono anche singoli frammenti di umanità che si incontrano. La vicenda-simbolo di questa “cittadina europea”, ricordata e rimpianta, ce ne rende testimonianza. |