La Toscana per il Tibet
intervento inviato al convegno di Siena su "Tibet e diritti umani" del 10 dicembre 2008
Cari amici,
non sono purtroppo in condizione di partecipare, come tanto avrei voluto, alla meritoria iniziativa senese su “Tibet e diritti umani”.
Oggi, per l’intera giornata, c’è, infatti, seduta del Consiglio regionale della Toscana e i temi all’ordine del giorno sono importanti e delicati. E’, per chi vi scrive, dunque, prioritario e doveroso essere presente in Aula.
Nondimeno, sono volentieri a ribadire e a sottolineare l’adesione del Consiglio Regionale, oltre a quella mia personale (anche in qualità di direttore della Rivista “Testimonianze”) alla vostra (e nostra) manifestazione.
Il Consiglio Regionale ha, a suo tempo, approvato all’unanimità, d’altra parte, come qualcuno ricorderà, una mozione in difesa dei diritti umani e contro la repressione in Tibet. E presso la sede consiliare è stato organizzato, in compartecipazione con “Testimonianze” e con molte altre associazioni fiorentine, l’incontro su “La Solitudine del Tibet”, che si è svolto in un clima di forte intensità e partecipazione.
L’incontro di Siena- non è superfluo e non è retorico ricordarlo- si svolge in una giornata di grande significato e di evidente rilevanza simbolica. Fu, infatti, il 10 Dicembre di sessanta anni fa che la “lunga marcia dei diritti umani” (come, con un’espressione evocativa, fu definita da Ernesto Balducci) registrò un passaggio fondamentale. Si tratta di una ricorrenza di carattere tutt’altro che retoricamente celebrativo. La Dichiarazione universale dei diritti umani, che allora fu varata, non è fondata su un’ altisonante proclamazione di principi.
Essa appare, al contrario, come un documento programmatico che, non solo, mantiene inalterata la sua validità, ma che attende ancora di essere attuato e rispettato in non poche parti del nostro tormentato “mondo globale”.
Parla, la Dichiarazione Universale, alle attese dei popoli del mondo. Che hanno fame e sete di dignità, giustizia e libertà. E che attendono la piena ed integrale applicazione della cultura dei diritti: di quelli politici, di quelli civili e di quelli di carattere sociale.
Come si ricava da un emblematico monito inscritto in uno dei passaggi rimossi e dimenticati del “secolo breve”, “Non c’è pane senza libertà” e “Non c’è libertà senza pane”. Così scrivevano, con una logica ed un’etica ferrea, gli operai di Poznan ( Polonia) durante le agitazioni dell’ “indimenticabile” , e lontano, 1956.
E’ un discorso che oggi vale e si ripropone intatto anche in tante situazioni di questo controverso primo scorcio degli anni duemila. Non vale forse questo riferimento anche per il Tibet?
Non c’è chi dice che i tibetani dovrebbero pur mostrarsi “realisti”, se non quasi riconoscenti, perché sarebbe stata loro “portata la modernità”?
Ma non c’è modernità, ammesso che di questo ci parli oggi la trasformazione oggi in atto in quel lontano e travagliato angolo di Oriente, senza rispetto dell’integrità, dell’identità della cultura dei popoli che ne sono investiti.
Il Tibet, in questo senso, è inevitabile ricordarlo, soffre un travaglio che è in corso da decenni.
Un travaglio che, a ridosso delle Olimpiadi e dopo il drammatico passaggio dei “fatti di Lhasa”, e le successive repressioni, è stato posto sotto i riflettori dell’attenzione mondiale.
Ma, ben presto, sono tornate a prevalere “realpolitik” e rimozione. Una rimozione che manifestazioni come quella di Siena contribuiscono, giustamente, a rimettere in discussione.
Non si tratta di contrapporre istanze “cinesi” ed istanze “tibetane”. La causa dell’evoluzione di un grande Paese come la Cina verso una “società aperta” e reali avanzamenti in tema di rispetto dei diritti umani e la causa del popolo tibetano - al di quello che la disinformazione e l’ideologia di stampo nazionalistico vorrebbero far credere- appaiono intimamente legate.
E sono strettamente connessi il ricordo dei caduti e degli scomparsi (cinesi) di Tien-An- Men e quello dei tibetani caduti sotto i colpi della repressione.
I temi della “questione democratica”, che finirà per imporsi in Cina, e quelli del rispetto dell’identità culturale, religiosa e nazionale del Tibet sono inscritti all’interno di uno stesso capitolo e, insieme, hanno da essere considerati dalla comunità internazionale.
La cerimonia di Danzica, cui ha potuto apertamente partecipare il Dalai Lama, rappresenta una significativa cesura nei confronti di un atteggiamento fatto di pavidità e cautele “realisticamente” diplomatiche che non rendono un buon servizio nemmeno, e in primo luogo, alla pacifica e democratica evoluzione della Cina.
Sono- per reintrodurre una sentita nota personale- profondamente dispiaciuto di non poter essere a Siena ad ascoltare quanto di importante hanno da riferirci, da raccontarci, da chiederci i nostri amici tibetani.
Avremo certamente modo ed occasione di incontrarci ancora.
Nella Toscana, che è “terra del mondo” e che conserva, nella parte migliore del suo patrimonio culturale, una tradizione da sempre attenta alla pace, alla convivenza ed alla cultura dei diritti, essi sono sempre i benvenuti.
In questo giorno così suggestivo, e denso di implicazioni storiche, siamo a ribadire la disponibilità ad un dialogo e ad un confronto che sappia indicarci forme efficaci ed opportune per essere al loro fianco ed a fianco di tutti quelli che, nel mondo, lottano e lavorano per il “pane” (che liberi dal bisogno) e per la libertà (che è nutrimento vitale della cultura e dello spirito).
Di cuore, buon lavoro a voi tutti, e molti saluti
Severino Saccardi
Consigliere regionale della Toscana
Direttore della Rivista “Testimonianze”
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